29 Gen
2021Il 1969 fu un anno per certi versi profetico per ciò che si rivelò nel tempo a venire. A seguito del più celebre ‘68 - il momento di distanziamento con convenzioni ormai staccate dal comune sentire - si avviò il passo verso un sovvertimento a tutto tondo che in seguito sfociò in ben altri tristi versanti: sicuramente non quelli auspicati da chi, in buona fede probabilmente, cercò e non trovò l’autentica rivoluzione pacifica in grado di conciliare il vecchio col nuovo. È in questa fenditura della storia d’Italia che s’inserisce il romanzo del galatonese Giuseppe Resta “Quel Millenovecento69, edito da “I Libri di Icaro”.
La trama si dipana nella fase forse più bella, l’estate, metafora di gioia e risurrezione, ed è in questo quadro che si svolge la storia, incastonata in uno scenario incantevole per antonomasia, il Salento e le sue spiagge tuttora incantate e incantevoli, per chi ci vive e per chi viene in villeggiatura. Uno sfondo acutamente ricostruito nelle immagini, ma soprattutto negli standard di quel periodo, ma pure negli archetipi di questa fetta di terra dove tutto sembra arrivare in modo soffuso: quasi stemperato dal sole che batte per quasi tutto il corso dell’anno.
Dunque è nella stagione calda, quella che disinibisce e rivitalizza ulteriormente, che il protagonista, Luigi, impara a crescere attraversando i movimenti obbligati di chi deve e non può rinunciare alla vita: perché la gioventù è sempre un salto nel buio fatto di prospettive scrutate con sguardo innocente, prima che l’innocenza si stemperi nella maturità. Passaggi, dicevamo, che vanno da una sorta di scuola di educazione sentimentale, quando è giunto il tempo e l’età dei turbamenti del sesso e dell’attesa del bacio, il primo: quello che forse darà una svolta a tutta una vita prima che la vita ci cambi ( a proposito, quel bacio arriverà o non arriverà?, ovviamente non ve lo diciamo) alla meno edulcorata realtà giornaliera, fatta di ipotesi miste a speranze per non buttarsi il futuro dietro le spalle. Fiducie aggredite e irretite da illusioni e rinunce quasi obbligate, ma anche, come in ogni buon copione che guardi con occhi sinceri a cosa ha davanti, da bizzarrie, rivalse e sconvolgimenti delle emozioni in un turbine, un cocktail di alti e bassi in attesa di ciò che pare arrivare per allontanarsi all’ultimo passo, come fa l’onda mare quando si ritrae sulla riva.
Così il protagonista del romanzo, uno dei tanti; assorbito dal trasportare cassette di birra, cresce e vede e immagina. Prende e dà. A se stesso e forse un po’ anche al territorio e al mondo che gli ha sottratto qualcosa che gli aveva promesso. Storie di ieri, certo, ma sempre presenti perché la memoria non è un optional della nostalgia, ma la camera fissa su uno scorcio di vita cristallizzato nella reminiscenza che torna, perché se è vero che il mondo gira, gira anche al contrario, riproponendo con altre vesti e con nuovi gesti le situazioni trascorse. Come fu e come è quello di questo bel “Quel Millenovecento69”, un romanzo dove il ricordo si applica al cuore come un pacemaker, per sostenerlo durante il cammino nel tempo quando il tempo finge di non avere tempo per noi.
Città Futura srl - P.IVA 04391610757 - Copyrights © 2024 - Tutti i diritti sono riservati